Di un anno come questo ciascuno conserverà una sua memoria. Per mesi abbiamo ascoltato il respiro lento delle strade senza suoni. Le ambulanze, il silenzio in marzo, aprile, maggio e poi di nuovo al calare del giorno in ottobre e novembre: un fascino straniante che ci ha fatto capire quanto la colonna sonora della quotidianità sia parte di noi. Senza, i nostri luoghi non sono più gli stessi. Il 2020 è stato l’anno della solitudine, perché una videochiamata non può sostituire una carezza, è stato l’anno di Internet come pavimento sul quale si consuma la vita. Ha trasformato la realtà in qualcosa che sembra artificiale. Guardarsi negli occhi, sperare che parlino. La mascherina che ci copre mezza faccia ci costringe a osservare di più e meglio gli sguardi, sconosciuti o meno. Questa novità è forse uno dei pochi aspetti da tenere di questo 2020. Siamo obbligati a una maggiore attenzione verso l’altro, a una comunicazione più riflessiva: gli occhi in questo periodo ci hanno tenuto in piedi. Era la mezzanotte tra il 20 e il 21 febbraio. È a quell’ora che le indiscrezioni sono diventate certezze: a Codogno il primo caso ufficiale di Sars-Cov-2 in Lombardia. Ansia, preoccupazione, dubbi: non si sapeva ancora chi fosse l’ammalato o se fosse collegato all’epidemia cinese. Soprattutto, non si sapeva che quella notizia sarebbe stata lo spartiacque e che già 24 ore dopo i numeri dei tamponi, la positività e i ricoveri avrebbero iniziato a scandire tutta la nostra vita. La notte che ha cambiato tutto. E poi un uomo semplice, dal cuore fantasioso come quello dei bambini, che nei giorni più duri della pandemia sale sul tetto del Duomo, a pregare a braccia aperte la Madonnina sulla guglia maggiore della cattedrale. L’arcivescovo Mario Delpini, che in una mattina di tarda primavera ci viene a trovare e ci dice che noi, proprio noi, così come siamo, siamo “fatti per essere felici”. Continua a leggere Un anno di Covid. Ne parliamo con… dr. Pietro R. Cavalleri, psichiatra e Direttore Clinico