“Amore e dolore sono il movimento della vita che nasce e cresce, che si libera da ciò che la imprigiona. Chi non è amato, chi non ama, chi non soffre si sottrae a momenti della vita, non nasce e non cresce, perché la vita nasce e cresce nel rischio: si può restare in vita per abitudine ma si diventa vivi per inquietudine. Quando la gioia si spegne la soluzione non è fuori di noi, ma dentro di noi, dove la vita ha origine, in quel modo di amore e dolore che chiamerò desiderio, perché è al tempo stesso mancanza e slancio, non una mancanza che blocca, ma che invita all’esplorazione, al rischio”. Queste parole sono di Alessandro D’Avenia e sono vive ed efficaci per parlare di me.
Anche Edgar Allan Poe, nell’Antologia di Spoon River fa parlare il defunto George Gray, che dice: “L’amore mi fu offerto ma fuggii dalle sue lusinghe / il dolore bussò alla mia porta ma ebbi paura/ l’ambizione mi chiamò ma temetti i rischi (…). Dare un senso alla vita può sfociare nella follia / ma una vita senza senso è la tortura”. Queste parole sono dissimili da me. Io l’amore l’ho accettato e vissuto con molta passione; il dolore è stato (da me) accolto senza paura, vivendo attimo su attimo; l’ambizione favorì (in me) ogni passo della maturità ma la vita ebbe scopo nella follia (disturbo bipolare e psicosi), perché dare un senso a tutto il mio vissuto faceva tremare le vene ai polsi, scatenava una serie di fatti e problemi che mi portavano a uno stato di pietà e pianto ininterrotto.
Ora debbo ritornare a casa, ma le scottature e le ustioni di una vita passata nella maturità in follia mi lasciano scarica di buoni convincimenti. Tornata a casa, la mia mente sanata non mi abbandonerà? Mi trovo senza un progetto economico di sostegno, mi trovo a muovermi a piedi, senza auto, le difficoltà non mi manderanno ancora in tilt? Come potrò affrontare una vita nuova, ora che ho sessant’anni e che anche il corpo si ritrae dalla fatica? Le persone capiranno, mi saranno vicine o chiuderanno la porta alla mia difficoltà? La follia mi ha tenuto compagnia nella mia solitudine, inquietudini e paure, incubi e ansie terribili mi attanagliavano nella mia età migliore, i ricoveri negli ospedali psichiatrici e la mancanza di aderenza al reale, alla realtà, sono (stati) presenti nella mia vita. Un giorno raggiunsi AS.FRA. e da allora, lentamente, mi portai da oscillazioni elevate sempre più lente fino a una normale condizione dell’umore.
Mi sento di dire che mi sono RI-AVUTA, in modo da avere un continuum dell’essere naturale, un riappropriarsi della mia infanzia e giovinezza. Non vorrei lasciarli mai, questi signori dell’AS.FRA., perché con il loro aiuto sono approdata ad una riappacificazione della mia vita. Sono ancora in marcia e, qui lo dico, mi affido a Gesù Cristo perché mi dia la speranza di sconfiggere il vuoto che che può riempire l’animo malato. L’aiuto di Dio mi può dare forza. Egli avrà l’ultima parola nella mia vita.
Patrizia
